BAMBOCCIONI A CHI?


ECONOMIA
LA PHARMACY INDUSTRY, AZIENDA CHE SFIDA LA CRISI

I dipendenti sono tutti giovanissimi. Il suo "patron" ha appena 35 anni e guida una multinazionale con un giro d’affari milionario. E propone un’alleanza...

Il quartier generale di Pharmacy Industry, azienda milanese di abbigliamento casual per giovani fatta da giovani, è un vecchio deposito di piastrelle di Porta Romana riverniciato di bianco e trasformato in show room. Una specie di santuario immacolato di 500 metri quadri, dove spiccano i colori sgargianti di felpe e magliette, e dove l’età media di chi ci lavora è di 27 anni. Una decina di ragazzi ronzano intorno ai computer come api al miele per disegnare, progettare, organizzare, dirigere, colorare, tagliare e cucire su grandi schermi, a caccia di soluzioni nuove. Il "patron" di questo gruppo che ha conquistato i mercati di mezzo mondo e ha un giro d’affari nel 2008 di sei milioni di euro si chiama Davide Martelli, classe 1975. Ha un’età da "bamboccione", direbbe L’ex ministro Padoa-Schioppa, e invece è un imprenditore di successo, sposato con un bimbo di quattro anni.

Liceo scientifico, studi all’Istituto europeo di design di Milano, inizio come consulente designer per grandi marchi, poi il salto: «Nel 2003 provo a disegnare la mia prima collezione: sette felpe in tutto. Uno di questi capi, indossato da me stesso, finisce su un giornale, un grande distributore lo nota e mi chiama. È così che nasce Pharmacy Industry». Un annetto dopo si unisce Chiara, fresca di laurea al Politecnico della moda. L’idea cresce, cinque anni dopo, i dipendenti sono dieci e i mercati raggiunti, oltre a tutta l’Europa, toccano Dubai, la Cina e l’America. Nonostante il nome inglese, è un’azienda made in Italy che più made in Italy non si può: «Siamo italiani, lo stile è italiano e soprattutto i produttori e i distributori sono italiani: è stata sempre la nostra regola d’oro». È uno dei segreti del successo di quest’impresa che sfida la crisi (nel 2008 la crescita è stata del 18 per cento).

Il resto lo hanno fatto creatività e inventiva. Il catalogo moda, per esempio, affidato a giovani fotografi di tutto il mondo contattati via Internet («soldi ne avevamo pochi») o lo stile pubblicitario: «Raccontiamo tutto come una storia, nella prima campagna ci siamo messi a fotografare i dipendenti e i dirigenti della ditta che produceva gli abiti. Un’altra campagna l’abbiamo fatta a Verona, sotto il balcone di Romeo e Giulietta e un’altra ancora nel vagone che fa da sede all’Associazione alpini, sempre a Verona, nel quartiere Santa Lucia», dice Simon Giuliani, 29 anni, direttore creativo, uno degli ideatori della linea "2357".

Comunicazione a tu per tu

I retroscena di come venivano costruite alcune collezioni sono finiti su You tube. Ma la pubblicità, più che digitale, è analogica, come dicono loro, cioè attuata con il passaparola. Felpe e magliette sono pensate come i colori di una tavolozza che i clienti sono invitati a comporre. E soprattutto l’idea di costruire nuove creazioni quando per i giovani lo stile dominante era il "Vintage", ispirato soprattutto al vestiario degli studenti dei college americani e inglesi. «È stato un gioco», prosegue Davide, che è anche membro dell’Ucid, l’Unione cristiana imprenditori e dirigenti, «ma il bello è che il gioco continua, perché ci divertiamo come matti a lavorare qui dentro tutto il santo giorno».

Davide Martelli ha anche idee molto precise su come vincere la concorrenza della Cina nel campo del tessile e dell’abbigliamento: «La soluzione è un’alleanza tra giovani marchi e industrie di produzione di grande tradizione, rigorosamente italiane. L’esperienza insegna che la manodopera del nostro Paese, dai sarti agli ingegneri, è ineguagliabile. Quello che non riescono a fare all’estero (e non ci riusciranno mai) è coniugare l’ingegno creativo italiano con la produzione. Questa alleanza generazionale, nel segno del made in Italy, sarebbe la risposta alla crisi».

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